Anestesia pediatrica, l’importanza delle reti regionali
21.10.2015
La riorganizzazione della rete di assistenza pediatrica rappresenta il primo punto nella lista dei possibili correttivi. A dirlo è Edoardo Calderini, Direttore del dipartimento anestesia del Policlinico di Milano. Secondo l'esperto ogni regione dovrebbe identificare uno (o più) ospedali pediatrici di riferimento cui riferire i pazienti più complessi (per patologia o età) (Hub) e una serie di ospedali satelliti strettamente interconnessi (spoke) per il trattamento dei casi meno complicati.
Gli ospedali con vocazione pediatrica dovrebbero ricoverare almeno 1000-1500 bambini chirurgici di età inferiore ai 10 anni ed ogni anestesista dovrebbe effettuare un minimo di 200-300 anestesie pediatriche per anno. E' necessario inoltre intervenire sulla formazione degli anestesisti. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito l'anestesia pediatrica (con la cardio e la neuroanestesia) è considerata una subspecialità e richiede un training formativo supplementare dopo la specializzazione e una ricertificazione ad intervalli regolari. Viceversa in Italia, una volta acquisita la specialità, è previsto che l'anestesista possa trattare tutti i pazienti dal neonato al grande anziano e non c' è alcun sistema di "rivalidazione" delle competenze teoriche e pratiche.
L'acquisizione di competenze specifiche consentirebbe inoltre di stabilire più correttamente il momento più opportuno per effettuare l'intervento limitando il più possibile le procedure chirurgiche/anestesiologiche nei primi anni di vita. In questo senso si muove anche una campagna europea di sensibilizzazione "THE SAFE ANESTHESIA FOR EVERY TOT (SAFETOTS) INITIATIVE" (www.safetots.org) che mira a identificare i fattori di rischio e le cause che generano le gravi complicanze associate alla anestesia pediatrica e a fornire agli operatori ed alle Istituzioni i suggerimenti utili alla corretta pratica del trattamento anestesiologico.
