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Fondazione Smith Kline

 

Dalla ricerca italiana il futuro delle "resolvine"

23.09.2016

Sono trascorsi pochi anni da quando nei laboratori di Harvard il team di ricercatori diretto dal Professore Charles Serhan ha individuato le molecole che regolano la fase conclusiva di un processo infiammatorio acuto, riparando i tessuti danneggiati e ripristinando quindi lo stato di buona salute del nostro organismo. Da allora lo studio delle "resolvine" è andato avanti, per capire sempre meglio il loro funzionamento.

Ma solo tre anni fa un ricercatore italiano ha bussato alla porta del Professore Serhan a Boston con un'idea nuova: "L'ipotesi che proposi in quell'occasione - racconta Valerio Chiurchiù, ricercatore della Fondazione Santa Lucia Irccs e dell'Università Campus Bio-Medico di Roma - fu di verificare la possibile efficacia delle resolvine non solo nel chiudere a tempo debito un normale processo infiammatorio, ma anche nel correggere quei processi immunitari difettosi che portano ad uno stato infiammatorio cronico e perfino all'autoaggressione dei propri tessuti, come nel caso di diverse malattie infiammatorie croniche o autoimmuni".

I risultati dello studio, nato da quel primo colloquio a Boston, sono stati pubblicati ora da "Science Translational Medicine" e hanno dimostrato l'effettiva capacità delle "resolvine" di ristabilire un corretto equilibrio del sistema immunitario in modelli di laboratorio. "Ora stiamo iniziando a replicare gli esperimenti su campioni ematici di pazienti affetti da sclerosi multipla - spiega Chiurchiù - Se registreremo analoghi risultati, saremo in grado di proseguire con studi che, dalla fase uno in laboratorio fino alla fase tre su soggetti umani, potrebbero condurre in tre anni allo sviluppo di un nuovo protocollo terapeutico".

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