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Fondazione Smith Kline

 

L'Europa conferma l'efficacia del Psa come indagine di screening

06.10.2015

Lo screening del carcinoma prostatico effettuato attraverso il dosaggio ematico dell'Antigene Prostatico Specifico (Psa) ha dimostrato di poter ridurre del 29% la mortalità causata da questa patologia.

La metodica, integrata con nuovi marcatori e innovative tecnologie di diagnostica per immagini, sta divenendo sempre più sensibile e affidabile come dimostra la progressiva riduzione del rapporto numerico tra i pazienti che devono essere sottoposti a screening e biopsia e trattati per cancro alla prostata e quanti sono effettivamente salvati. Il dato, tuttavia, è ancora in discussione.

Appaiono infatti contrastanti i risultati sulla reale efficacia del test come emergono negli Usa e in Europa. Una ricerca condotta all¹Università di Rotterdam non conferma i risultati di un ampio trial americano, dimostrando che il Psa porta a una significativa riduzione della mortalità.

Probabilmente grazie ai nuove metodiche si potrà ancora migliorare l'accuratezza di questi esami. Tradizionalmente la diagnosi di questa patologia si basa sull'esame obiettivo (esplorazione rettale), sulla misurazione del dosaggio del PSA e dei suoi derivati nel sangue e sull'esecuzione di biopsie prostatiche sotto guida ecografica, distribuite in maniera omogenea in diverse aree della ghiandola.

Si tratta però di una metodica non esente da complicanze e con una limitata accuratezza diagnostica: nei centri più accreditati solo il 30-40% delle biopsie eseguite in pazienti sospetti risulta infatti positiva. Inoltre, è difficile, sulla scorta del solo risultato bioptico, valutare la reale aggressività del tumore, quindi capire quanto crescerà e con quale velocità, e definire la strategia più appropriata di trattamento per il singolo paziente.

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