Tendenze Nuove > Numero 2-3/2014 (novembre-dicembre)
Da Don Abbondio a Charlot

Recensione a: "Comunicazione profonda in Sanità" di Francesco Calamo-Specchia, Maggioli Editore
Where is the wisdom we have lost in knowledge?
Where is the knowledge we have lost in information?
T.S. Eliot
Un programma politico per una nuova Sanità, ma non solo.
Come altrimenti definire un'opera che, partendo dall'ambito della relazione e della comunicazione tra paziente e medico, tra cittadini ed organizzazione della Sanità, ed attraverso una ferma denuncia dell'attuale contesto, arriva a proporre un modello di amministrazione della cosa pubblica radicalmente diverso? Che il libro si muova in pieno nell'ambito della Politica ce lo dice l'Autore stesso, quando ci ricorda che è necessario lavorare sulla domanda sanitaria "sia per renderla consapevole…sia per modificare opportunamente il contesto nella quale essa si forma. Tale lavoro va
effettuato anzitutto a livello di macrosistema nazionale, come governo delle ricadute sanitarie di certe politiche generali:…traffico privato/pubblico,… sviluppo edilizio, assetto urbanistico, verde pubblico, infrastrutture sportive
e culturali, del tempo libero;…politiche per l'occupazione, scelte energetiche e produttive,…ambiente,…ritmi e rischi del lavoro,…lotta all'evasione fiscale, sostegno…ai sistemi pubblici sanitario, scolastico, culturale, di assistenza sociale,…interventi contro le nuove povertà". Un programma politico in piena regola, animato da uno spirito profondamente laico, in quanto a partire dalla definizione di comunicazione si riconosce che ogni definizione
non è valida a priori ed immutabile, ma è "il frutto mutevole di una contingenza storica, ed è anche uno strumento potente di orientamento operativo".
Un programma per una profonda riforma della Sanità, a partire dal ribaltamento dell'attuale paradigma aziendalista, economicista, contro la prevalenza dell'utile sul giusto.
Tutta l'opera è basata sulla necessità del superamento "dell'approccio e della formazione tecnica nell'insegnamento e nella prassi della comunicazione in Sanità" ed arriva più in generale a richiedere come improcrastinabile una riforma degli studi universitari, ancora troppo e soltanto centrati sugli aspetti professionali e non sullo specifico luogo organizzativo dove i professionisti saranno chiamati a lavorare. "…Manca una Scuola di Sanità Pubblica, dove uno sguardo metadisciplinare orienti i professionisti a muoversi negli ambiti sempre più articolati e complessi nei quali si gioca il binomio salute/malattia…Bisogna passare dall'Io professionale al Noi organizzativo….
Odierna ambiguità circa obiettivi e senso del SSN: luogo innanzitutto dei risparmi o innanzitutto della salute?"
Venendo al tema della relazione tra l'ammalato ed i curanti, la Comunicazione Profonda diventa chiave di lettura essenziale: un "affare di pathos,…un fatto erotico, ossia questione di relazioni benedette da Eros, il dio dei legami". Le pagine si susseguono dense ed articolate, in una continua e approfondita riflessione sulle sostanziali differenze tra competenza (fare) e consapevolezza (essere), sull'antinomia tra tecnica e senso. La comunicazione non è vista come tecnica di convincimento, come strategia di conflitto, mirata alla vittoria del professionista che riesce a portare il paziente dalla sua parte, quanto piuttosto ispirata ad un'intenzione pacifista, nonviolenta, il che non vuol certo dire debole. È la competenza relazionale, un "radicale anti-individualismo" che si vuole perseguire. "La vita come metafora aziendale": oggi predomina il binomio dell'utile e del profitto, è rimasto in secondo piano quello del giusto e del valore.
In Sanità, come in altri ambiti, abbiamo smarrito la concezione del "tempo al servizio dell'uomo, un tempo-valore e non un tempo-denaro", e siamo invece tutti al servizio del tempo. Basti pensare ai sistemi di valutazione, che spaccano in
quattro il capello dei processi produttivi, e non si curano degli esiti degli stessi. Misuriamo tantissimo, dimenticando che la qualità è irriducibile alla quantità. "La Sanità…ha bisogno di più senso, di una ri-animazione, cioè di una ri-immissione di un'anima/senso.…tutta la nostra società sta morendo di tecnica,…di misurabile". Con un felice neologismo l'Autore ci guida nel reame di "Aziendalia,…un luogo in cui si comunica in un orrendo pidginenglish
funzionalista e tecnicale, incomprensibile ed orwelliano". Un'altra forma di pensiero, di pensiero critico è invece ormai necessaria e non rimandabile, contro lo "scandalo dell'eliminazione della parola, dell'essere, della sua uccisione con le esigenze del mercato, di un abbrutente fare". Il tema della relazione tra la persona ed i curanti è un terreno dove l'Autore pone decisamente l'esigenza di un salto di qualità, cercando il consenso col piuttosto che del malato. Tra i numerosi riferimenti culturali di cui il libro abbonda si può ricordare Heidegger, quando definisce la cura non già come "prendersi cura di qualcuno", ma al più "procurare qualcosa a qualcuno", o Claude Levi-Strauss secondo il quale la comunicazione è "relazione sociale nella quale due o più soggetti arrivano a condividere particolari significati".
O, ancora, Ivan Illich, che vede la Salute "come capacità di adattarsi ad un ambiente che cambia". Altro che compliance: una buona relazione non può che promuovere la competence dei pazienti!
Passando dal livello della comunicazione individuale a quello delle organizzazioni il testo ci mette in guardia dal mantenere l'attuale struttura dell'organizzazione sanitaria. Basti pensare all'etimologia del termine "azienda", da "facienda", le cose da fare. L'essere è in secondo piano, non ci sono persone, ma risorse umane. Nell'azienda c'è un "puro fare cui non necessita un pensiero", dove - con geniale citazione da Tempi Moderni di Charlie Chaplin - "nessun Charlot pensante possa deviare il flusso prestabilito ed ottuso del nastro trasportatore, l'idea che debba prevalere la prestazione di servizi sulla produzione di valori". Allora, dato che la Sanità Pubblica non può essere (solo) un'azienda, non le sono applicabili gli approcci comunicativi tipicamente
aziendali, buoni tutt'al più "per la razionalizzazione della variabile subordinata che è la produzione di servizi, ma che devono fermarsi di fronte alla potestà della variabile indipendente, la produzione di salute". Oltre al risultato della produzione - l'output - deve essere valutato e valorizzato l'effetto ottenuto attraverso quella produzione - l'outcome . Purtroppo la Sanità aziendalizzata di oggi viene valutata e finanziata per la produzione di servizi e non tanto per la produzione di salute, abbiamo tanti indicatori di processo ma pochissimi di esito. Invece l'Autore ci richiama all'ineludibilità di quella che lui chiama una "scommessa" "sull'impossibilità che la vita di tutti si sia ridotta…ad una esclusiva ricerca dell'utile, e che invece sopravviva ancora nella maggioranza degli individui…una quota irriducibile dell'essere persona che porta irresistibilmente verso le regioni dell'"inutile" ma gratificante, del valoriale anche se in perdita".
E, sempre in tema di comunicazione tra Organizzazioni e cittadini, Francesco Calamo- Specchia ci ricorda la necessità di dare senso al passaggio storico che vede il superamento dell'Educazione Sanitaria a vantaggio di un'Educazione critica alla Salute, come "supporto e stimolo dei gruppi a prendere coscienza della propria idea di salute,…ridefinire i propri bisogni e attese", dunque a riconoscere quando e quanto questi bisogni/attese siano eteroindotti da spinte commerciali/mediatiche. Se da una parte è originale ed intelligente l'accostamento del "delirio educativo-salutista e medicalizzante delle società occidentali" con il non troppo dissimile "delirio salutista ed eugenetico del nazifascismo", l'Autore ci mette in guardia anche dai rischi di degenerazione conflittuale di approcci del tipo Tribunale dei diritti del malato, o di deriva difensivo-didascalica degli Urp.
Il libro richiama in maniera forte l'autorevolezza assoluta ed esclusiva dell'azienda sanitaria pubblica come unica fonte neutrale, attendibile ed autorevole di ogni discorso tecnico sulla Sanità e la salute. Non è secondario, di questi tempi, ribadire con forza la necessità della difesa del Servizio Sanitario Nazionale, nato circa trentacinque anni fa e sottoposto a continui attacchi. Ed in proposito viene citata proprio una delle istituzioni simbolo del neo-liberismo, la Banca Mondiale, che ormai da vent'anni ha dimostrato la superiorità dei sistemi nazionali basati sulla fiscalità generale rispetto a quelli privatistico-mutualistici nel determinare non solo efficacia ed equità, ma anche la stessa efficienza degli interventi sanitari. Ben inteso, "pubblico" non è automaticamente sinonimo
di efficacia ed efficienza (come non lo è il privato…): è richiesta una continua responsabilizzazione dei dirigenti, i quali si dovrebbero attenere ad una stretta aderenza a quell'accountability che forse non a caso non ha un suo equivalente diretto nella lingua italiana. E, molto originalmente, Francesco Calamo-Specchia arriva a proporre, sulla base della prassi ormai consolidata del consenso informato a livello individuale, il "consenso informato organizzativo": "dato che ogni cittadino è il proprietario del Ssn in qualità di soggetto collettivo, esattamente come è proprietario del proprio corpo in quanto persona, ogni Asl non può decidere nulla…senza informare i cittadini circa la situazione organizzativa presente e le decisioni che si vorrebbero assumere, e senza aver ottenuto da essi un consenso esplicito". Una vera e propria rivoluzione, in netta controtendenza con la progressiva finanziarizzazione della Sanità, la mancanza di trasparenza e l'assenza dei cittadini e dei loro rappresentanti nella partecipazione alle scelte in tema di organizzazione sanitaria. Scelte che si focalizzano sempre di più sull'offerta - e sui conseguenti tagli, in omaggio ad una cinica logica di spending review - ed invece trascurano di lavorare sulla
conoscenza e l'educazione della domanda. Del resto, non s'inventa nulla, se già Platone ci ricorda che "Il medico libero rende partecipe l'ammalato stesso della sua indagine e lui stesso apprende qualcosa dai malati".
Certo, per fare tutto questo è necessario tempo, tanto tempo, e "per comunicare in profondità, come per determinare salute, giustizia, e ogni altro bene meritorio, bisogna accettare di "perdere" - o piuttosto impiegare! - tempo, e denaro, e ogni altra risorsa; e non pretendere di guadagnarne". Ecco dunque la necessità di una profonda rivoluzione culturale e politica: si sente l'esigenza di una Sanità non retribuita per ogni prestazione fornita, a cottimo, ma finanziata per gli effetti delle prestazioni, dove dunque contino gli interessi del fruitore più che quelli del fornitore. Rivoluzione davvero, perché non è ulteriormente sostenibile la deriva consumistico-pubblicitaria che enfatizza l'importanza di interventi ad alto contenuto tecnico/tecnologico, che poi restano comunque riservati ai pochi casi che richiedono prestazioni superspecialistiche. Invece, "l'eccellenza di un sistema sanitario nazionale si mostra soprattutto
nell'allargare la base di crescita sanitaria di tutto il Paese". Rivoluzione politica nel vero senso della parola, se solo prestassimo attenzione a dati che sono sotto gli occhi di tutti e che l'Autore opportunamente ci ricorda: il SSN costa 100 miliardi di euro all'anno, l'evasione fiscale "vale" dai 150 ai 200 miliardi annui, in Italia la spesa sanitaria pro-capite è inferiore del 20% alla media europea, del 50% a quella degli Stati Uniti d'America e del Giappone. Invece, siamo molto in alto - il sesto posto al mondo - per spese militari, con un ammontare annuo di 30 miliardi ed in crescita costante dal 1996!
Un altro originale spunto di questa opera feconda e stimolante è la critica al "telethonismo", visto come "una sconfitta…per le ragioni della prevenzione, del diritto alla salute e di una ricerca scientifica neutrale ed attendibile". I malati sono portatori di diritti, e non oggetto di elargizioni che costituiscono un'elemosina per i meno fortunati, contro i principi dello Stato Sociale. Viene in mente Eduardo Galeano, che alla carità (verticale, dall'alto verso il basso) preferisce la solidarietà, che è orizzontale, ha rispetto degli altri. Dunque né assistenzialismo né aziendalismo: l'appello accorato di Francesco Calamo Specchia è a promuovere "una società dove davvero il valore principale…ridiventi la vita, e la salute ne ridiventi l'attributo irrinunciabile,…in cui si ammetta anche di poter "perdere" in termini finanziari… pur di salvaguardare la meritorietà degli interventi…E noi medici - a mio parere tutti i medici, non solo coloro che si occupano di organizzazione sanitaria - dobbiamo rifiutare il ruolo unico rimastoci e richiestoci di chierici e glossatori di Aziendalia, donabbondi chiusi nel nostro autoreferenziale latinorum aziendalese".
In conclusione, ha ragione l'Autore quando ci ricorda che "Le cose che abbiamo da dire vanno dette, ora". E lui le ha dette e scritte con tanta passione, regalandoci un volume essenziale per superare la modesta prospettiva della gestione della Sanità ed aspirare ad una più ampia visione politica per la Salute, perfettamente in linea con l'attuale movimento di rivalorizzazione dei Beni Comuni. "Nelle scienze economiche si definiscono meritori - sinonimo del più attuale Beni Comuni, o, per dirla con Stiglitz, dei Beni non Economici - quei Beni (giustizia, formazione, salute, sicurezza, cultura) tipicamente valoriali ed astratti,…che devono essere garantiti senza distinzioni ed in ugual misura ad ogni cittadino, pena la riduzione di una società civile a mera giustapposizione di individui, e che dunque non possono essere lasciati alle dinamiche di mercato,…ma devono in ogni caso essere prodotti dall'iniziativa pubblica, accettandone anche una produzione finanziariamente in perdita, purché sia la minima perdita compatibile con le esigenza primarie di risposta ai bisogni fondamentali per l'esistenza stessa di una collettività".
Con questa sua opera profondamente ispirata, a tratti di una prorompente forza onirica che non ci si aspetterebbe, abituati come siamo al freddo e misero linguaggio dei manualetti di economia aziendale, Francesco Calamo Specchia si offre al lettore come un vero e proprio Maestro, che è sempre molto di più - magis - di un semplice docente. Nello scorrere delle pagine si coglie bene lo sforzo dell'Autore di non trasmettere passivamente conoscenze, di non impartire la lezioncina aziendalese, ma di farsi carico di un profondo rapporto con il lettore che, per dirla con Danilo Dolci, sapientemente citato, cresce non tanto se viene "guidato" passo passo come un cavallo, ma solo se "sognato" da chi "educa senza nascondere l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo ma cercando d'esser franco all'altro come a sé".
