Tendenze Nuove > Numero 3/2013 (maggio-giugno)
Pseudoscienza, attese dei cittadini, governo della sanità

La recente vicenda politico-giudiziaria-umana attorno alla cura con le cellule staminali si presta ad alcune considerazioni, che possono servire da indicazione per comportamenti futuri (se mai il nostro paese sarà in grado di cogliere le lezioni della storia!).
La prima considerazione riguarda l'emotività italiana; siamo capaci di occuparci di cose serie solo con labilità, quando prevalgono atteggiamenti superficiali di partecipazione formale al dolore altrui (questo giudizio vale sia per la massa dei cittadini sia per le istituzioni). Una seconda considerazione collegata a questa riguarda la fragilità del sistema dei diritti del singolo rispetto alla collettività e ai relativi doveri; si naviga tra interpretazioni diverse delle leggi vigenti e decreti legge tampone, stesi in fretta sotto pressioni estemporanee. A questo proposito gli avvenimenti che si sono associati con la mancata chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari sono un ulteriore esempio dello scollamento sempre più grave nel nostro paese tra provvedimenti di legge e realtà, tra ipotesi di cambiamento e capacità realistica del sistema di metterli in atto. Una terza considerazione generale riguarda la vanità di una certa parte (fortunatamente limitata) della comunità scientifica, che segue strade non corrette nelle sperimentazioni, mirando prevalentemente a ricevere consensi - per quanto immotivati - dall'opinione pubblica. Un ultimo aspetto - non meno grave - si riferisce all'incapacità della politica di affrontare a viso aperto le situazioni critiche che talvolta si creano all'interno dei servizi sanitari; sembra infatti che non vi sia un'idea condivisa e forte riguardo ai compiti e ai limiti di un sistema che deve occuparsi della salute dei cittadini.
Emotività diffusa, fragilità giuridica, vanità, debolezza politica non sono certo caratteristiche solide sulle quali costruire un futuro serio di convivenza civile; però l'ottimismo della volontà impone di ipotizzare risposte razionali, anche quando sembrano difficili. Tenendo conto peraltro di tutte le componenti che contribuiscono a rendere complesse le risposte da dare alle attese dei cittadini che soffrono per gravi malattie; infatti il confine tra donare speranza e diffondere illusioni è spesso molto sottile e delicatissimo. Negli anni scorsi migliaia di persone si sono recate a Cuba per acquistare il veleno di scorpione perché ritenuto un'efficace terapia contro il cancro. Che diritto abbiamo - noi operatori della salute - di togliere un lume di speranza, anche quando lo ritenessimo effimero, se non siamo in grado di offrire alcuna alternativa? Diverso sarebbe il caso se il nulla si sostituisse a qualche cosa che seppur minimamente apporta dei vantaggi; ma quando le nostre mani sono completamente nude di fronte a condizioni cliniche gravissime, come quelle di Sofia, non è lecito troncare la speranza, nascondendosi dietro uno scientismo, il cui metodo rigoroso non ha portato a nulla di concreto per quella specifica situazione. Non possiamo inoltre dimenticare il peso della psiche sulle malattie somatiche; non è certo il caso della piccola Sofia, ma di molte altre situazioni nelle quali la speranza e la fede (laica o religiosa) in qualche cosa aiuta ad affrontare le conseguenze di malattie devastanti.
Il recente volumetto di Pierluigi Battista (La fine del giorno, Rizzoli) narra la malattia e la morte della moglie del grande giornalista, descrivendo l'infrangersi drammatico di speranze, delusioni, attese che accompagnano la vita di un ammalato senza futuro. Certo, la speranza non guarisce, ma offre modi per andare avanti, per percorrere con maggior forza le strade della malattia, delle cure spesso dolorose e devastanti, delle illusioni e delle delusioni... Nel caso del padre e della madre di Sofia la speranza che viene dalle cure di Stamina ha un valore soggettivo, al quale però dobbiamo guardare con rispetto e trepidazione, qualsiasi siano i nostri convincimenti scientifici, perché dà loro la forza per andare avanti, per non abbandonare la drammatica partita della vita della loro piccola.
Se queste considerazioni di carattere generale sono valide, mi permetto di proporre alcune indicazioni legate a comportamenti da adottare nella guida dei sistemi che garantiscono la salute (ospedali e strutture sanitarie in generale). Un primo punto riguarda l'atmosfera che deve essere diffusa nei luoghi della cura, cioè il giusto mix tra aspetti scientifici, cura della persona, attenzione alle speranze, fiducia reciproca tra operatori e operatori-pazienti-famiglie. A questo proposito invito chi ha responsabilità di governo a tutti i livelli a studiare con attenzione i recenti dati dell'ISTAT che dimostrano come in Italia il livello di fiducia tra le persone sia il più basso rispetto ad altri paesi europei. Come è possibile gestire un sistema che deve difendere o donare salute se l'ambiente di vita nel suo complesso è dominato dalla mancanza di fiducia l'uno nell'altro e quindi dal sospetto, dalla paura, dall'angoscia per un futuro nel quale non si possa contare sul reciproco supporto? Si dovrebbe maggiormente pensare alla porzione di responsabilità che i servizi sanitari hanno in questo ambito e quindi a come sia importante l'attenzione a questi aspetti, in particolare oggi quando la pressione economica rischia di polarizzare l'impegno dei gestori su aspetti certamente irrinunciabili per il governo del sistema, ma che non possono essere i soli ai quali dedicare cura, pena la transizione verso un sistema sempre più povero di denaro, ma anche di relazioni e di fiducia.
Sia ben chiaro: non sono un seguace delle banalità che vanno attorno alla parola umanizzazione, ma ritengo fondamentale che i servizi sanitari siano costruiti su rapporti fiduciari a tutti i livelli. Da questa indicazione discende anche il fatto che - pur con le dovute attenzioni - negli ospedali e nei servizi non possono essere offerte cure delle quali non si abbia almeno una ragionevole ipotesi di efficacia. Il punto centrale è non permettere che chiunque - in buona o in cattiva fede - possa utilizzare la fiducia riposta dai cittadini in un certo ospedale per inserire all'interno di questo rapporto anche cure che non hanno un reale fondamento. È necessaria grande attenzione per evitare i pasticci avvenuti a Brescia, con oscillazioni tra rigidità e lassismo; se una cura è iniziata all'interno di una struttura sanitaria certificata, la sua sospensione farà nascere nei cittadini il legittimo sospetto di essere vittime di interessi poco chiari. Così come la discriminazione di legge tra chi ha iniziato una certa cura e chi no: dove sta la logica organizzativa, scientifica, giuridica di tale provvedimento? Quale messaggio viene dato su un argomento già confuso a chi opera in periferia?
Infine è necessario evitare che la polarizzazione dell'interesse attorno ad una cura come quella di cui stiamo discutendo, metta in ombra gli altri servizi che si occupano di una malattia; nel caso dell'atrofia muscolare spinale vi sono diversi centri nel nostro paese che offrono servizi di altissimo livello, in rapporto con quelli internazionali più qualificati. Sarebbe una conseguenza molto negativa dell'attuale dibattito - in particolare da parte degli organi di informazione - se il risultato fosse la diffusione di sfiducia in chi offre oggi un servizio attento e silenzioso, del quale gli ammalati si giovano realmente.
Come si può capire da queste righe, le vicende descritte apportano gravi problematiche sul tavolo di chi deve decidere e gestire; sarebbe opportuna maggiore chiarezza sui contenuti, ma anche sulle responsabilità, per evitare il consueto triste spettacolo di una Italia confusa e contraddittoria anche su tematiche che riguardano così da vicino le speranze della gente.
