Tendenze Nuove > Numero 4/2013 (luglio-settembre)
Una sanità in tempo di crisi

È stato da poco pubblicato il Rapporto Sanità 2013 della Fondazione Smith Kline intitolato: Sistema sanitario e sviluppo del paese: alcune specificità in tempo di crisi, a cura di Gian Franco Gensini, Anna Lisa Nicelli, Marco Trabucchi e Francesca Vanara.
In linea con una ormai lunga tradizione, il Rapporto si colloca a cavallo tra una lettura sensibile agli eventi più recenti ed elaborazioni di carattere generale; in questo volume si ritrovano quindi suggerimenti importanti per affrontare un oggi difficile, ma anche indicazioni perché la lezione della crisi possa aiutare la futura costruzione di un sistema sanitario più maturo e responsabile rispetto al passato.
Lo scenario che caratterizza oggi i sistemi di protezione della salute è complesso; delinearne i confini è importante per capire dove agire al fine di indurre cambiamenti significativi.
Gli aspetti economici della crisi sono conosciuti nella loro gravità; ci auguriamo che il nuovo governo si impegni a dare una prospettiva stabile ai tagli (se ci devono essere); nulla è più pericoloso per una programmazione seria del non sapere le disponibilità sulle quali organizzare i servizi, dal livello regionale a quello dei distretti. La confusione permette di non dichiarare ciò che si può e si vuole fare; in questo modo è possibile prendere ogni tipo di decisioni estemporanee, che - anche quando fossero motivate da nobili scopi - inducono grande confusione. Il mancato consolidamento del sistema è la più grave debolezza della sanità italiana di oggi. Si crea una condizione per cui gli attori a tutti i livelli attendono un segnale forte e nel frattempo si bloccano, riducendo il proprio contributo di idee e di fatti al funzionamento dell'impresa comune. Si potrebbe dire che le modalità di lavoro sono all'opposto di quelle auspicate, riassunte dal famoso modello della jam session di jazz, per cui attorno a chi tiene la nota vi è libertà per i musicisti di rispondere alle proprie inclinazioni, valorizzando le capacità individuali. Da noi manca chi dirige l'orchestra e quindi anche se i maestri volessero seguirlo...
La crisi economica del sistema si accompagna alla crisi delle famiglie, molte delle quali non riescono a fronteggiare le difficoltà che incontrano nella difesa della propria salute. Assistiamo ad un'apparente contraddizione, per cui vi sono circa 9 milioni di italiani in condizione di grave indigenza, ma allo stesso tempo altri 12 milioni si rivolgono alla sanità privata, pagandone direttamente i costi. È un insieme di circostanze che vanno affrontate con determinazione, per impedire che si diffondano pratiche negative, quali la mancata cura di malattie (i dati anche a questo proposito sono allarmanti). Nel complesso, per evitare che avvenga come in Grecia, paese nel quale la crisi si è infranta soprattutto sulle possibilità di ricevere cure adeguate, è opportuno che si assuma una gestione complessiva della crisi, cercando di riorganizzare il tutto. Senza ledere l'autonomia regionale, il Ministro della Salute deve sentire il peso di un sistema che in troppi settori è privo di guida e quindi il dovere di indicare percorsi sui quali indirizzare le incertezze, le ansie, le attese dei cittadini. Il Ministro non abbia incertezze nell'esercitare le sue funzioni di guida; tutti ne sentiamo fortemente l'esigenza.
Un secondo aspetto di scenario sul quale soffermarsi è il rallentamento diffuso a tutti i livelli dell'impegno verso l'innovazione e la sperimentazione. Da ogni parte del mondo giungono notizie su nuovi strumenti di cura, ma soprattutto su modalità di lavoro (dalla diffusione dell'ICT, alle nuove elasticità nell'organizzazione dei servizi, alle tecnologie diagnostiche e chirurgiche, ecc.); in Italia, esclusi pochi centri strettamente collegati con l'estero, non vi è interesse per affrontare nuove modalità di lavoro, perché mancano i finanziamenti, il personale specializzato, ma soprattutto qualsiasi stimolo ad aprire prospettive diverse. La nostra sanità continua a fornire prodotti in molti casi di ottima fattura artigianale, senza accorgersi che attorno sono avvenuti grandi cambiamenti, che potrebbero permettere di fornire assistenza in modo più rapido, efficace e meno costoso. L'esempio recente, ripreso da tutti gli organi di stampa, della famosa attrice Angelina Jolie che si è sottomessa ad una mastectomia bilaterale preventiva, costituisce un richiamo forte perché i sistemi sanitari analizzino quanto fornito dalla scienza e compiano le relative mediazioni rispetto al bisogno dei cittadini. Un dominio incontrastato delle scoperte, in ambito biologico e tecnologico in generale, porta a situazioni incontrollabili, spesso fonte di disagio e di sofferenza. Solo un sistema attento, che ha al suo interno punti di osservazione colti e vivaci, è in grado di seguire l'evoluzione dei fenomeni, organizzando gli opportuni interventi. Si pensi, ad esempio, alla rivoluzione indotta dal sistema dei «big data». I tecnici denominano questa fase «salute 2.0» per indicare che si è iniziata una rivoluzione, fondata sulla possibilità senza limiti di raccogliere dati e di processarli per ottenere indicazioni importanti per le cure. Ma in Italia chi si sta preoccupando di predisporre un terreno favorevole allo sviluppo di queste modalità di gestione dei problemi che non hanno precedenti nella storia della medicina?
Un ulteriore aspetto di crisi è rappresentato dalle difficoltà incontrate dai modelli formativi. In particolare l'insegnamento nella facoltà di medicina si sta scontrando con la progressiva riduzione degli insegnanti, dovuto alla mancata sostituzione di docenti andati in pensione. In alcune sedi la crisi è più grave che altrove; ogni università deve però affrontare il problema con maggiore lucidità rispetto al recente passato. Si deve accettare che il modello tradizionale di insegnamento affidato solo a chi proviene dall'accademia non tiene più, e che è invece necessario pensare a forme di integrazione più efficiente con il mondo dell'ospedale e del territorio. È bene considerare con lucidità la situazione, evitando di inseguire i problemi, rischiando di dare risposte poco lucide, perché indotte dell'emergenza. La qualità e quantità della docenza per la formazione dei medici e delle altre figure professionali di area sanitaria deve essere analizzata anche nella prospettiva di continuare a formare medici di standard elevato come è fortunatamente avvenuto fino ad oggi. Però un passato di alto livello non deve rendere ciechi sul domani ormai alle porte. Sempre in ambito formativo andrebbe affrontato il tema dell'Educazione Continua in Medicina, ripensando su basi meno burocratiche e più realistiche la formazione nel tempo degli operatori. Si deve tener presente anche l'esigenza di un rinnovo dei contenuti, come realistica conseguenza delle modificazioni della demografia e dell'epidemiologia. È una contraddizione che si perpetua quella di affermare l'esigenza di modelli di cura che garantiscono la continuità degli interventi, quando poi la formazione a tutti i livelli è impostata sul modello di atti puntiformi, che dimenticano la dimensione tempo, cioè il prima e il dopo rispetto alla condizione di una persona ammalata.
Lo scenario sopra descritto nei suoi aspetti più critici mette in luce le responsabilità prima di tutto a livello politico, ma anche quello delle professioni e dell'amministrazione, verso la possibilità di garantire un buon livello di salute nell'Italia che cambia. Non vorremmo pensare al buon tempo passato come ad una condizione migliore dell'attuale, però il futuro non sarà facile.
Marco Trabucchi
