FSK utilizza i Cookies per migliorare la vostra esperienza su questo sito. Proseguendo la navigazione nel nostro sito web, senza modificare le impostazioni dei Cookies, acconsentite all’utilizzo degli stessi.
Se volete saperne di più su come li utilizziamo, vi invitiamo a consultare la nostra Cookies policy.

Fondazione Smith Kline

 

Tendenze Nuove > Numero 5/2013 (ottobre-novembre)

Un momento delicato

Copertina Un momento delicato (ottobre-novembre)

Torna all'indice

La sanità italiana vive un momento delicato, perché si incominciano a intravvedere alcuni segni positivi nel quadro economico generale del paese, accompagnati da dati incoraggianti sui conti delle regioni sotto piani di rientro. Faticosamente si inizia a «leggere» qualche luce in fondo al tunnel, che dovrebbe diventare sempre più forte; per questo motivo molti si augurano che l'attuale governo possa continuare a lavorare. Infatti, qualsiasi buona volontà venga espressa ai vari livelli del sistema, se manca un indirizzo centrale si rischia un aumento della confusione, seguita dalla perdita di efficacia degli interventi.

Ma quale può essere il ruolo «forte» di Roma nell'attuale quadro in forte movimento?

Un primo punto di carattere strategico è legato alla capacità di collegare i sacrifici economici con alcune specifiche operazioni, delle quali si è messa in luce la particolare criticità come fonte di spesa. Finora la riduzione dei disavanzi regionali è avvenuta per logiche interne, raramente - nella realtà - come conseguenza di una strategia che indica precisi strumenti ed i relativi obiettivi. In questa luce i tagli imposti dal governo possono sembrare ingiusti o immotivati, mentre un collegamento risparmi-contenuti di lavoro-risultati innovativi darebbe un riferimento politico valido a tutta la questione. Qualcuno sostiene che le regioni si devono poter muovere liberamente all'interno di un riferimento generale; a chi scrive queste note la motivazione non sembra sostenibile, perché precise indicazioni strategiche non impositive costituirebbero, al contrario, punti di riferimento indispensabili per andare avanti in una dialettica arricchente.

Quali potrebbero essere i punti forti sui quali il governo centrale può dare indicazioni, pur nel rispetto dell'autonomia regionale? Di seguito vengono indicati alcuni aspetti, tra i molti che oggi sono al centro del dibattito. Rappresentano esempi complessi sui quali il Ministero della Salute dovrebbe esprimere precise indicazioni, con la dovuta prudenza politica, ma allo stesso tempo con la coscienza di ricoprire un ruolo sempre più rilevante per il futuro della sanità italiana.

Un aspetto rilevante, che merita certamente una forte attenzione, è la modalità organizzativa delle aziende sanitarie e ospedaliere. Il dibattito in corso sulla loro dimensione non ha solo una rilevanza pratica sul piano gestionale, ma sottintende una logica strategica: quale livello di autonomia, e quindi di rapporto con uno specifico territorio, viene lasciato alle aziende? Diventano sempre più terminali delle decisioni regionali, con spazi ridottissimi rispetto ai provvedimenti? Quando si discute di questi aspetti e si mettono in primo piano, ad esempio, considerazioni sui risparmi che avverrebbero dalla riduzione del numero dei direttori generali, e quindi dei loro stipendi, significa che le argomentazioni hanno raggiunto livelli assolutamente banali, senza riferimenti vivi alla sostanza dei problemi. Infatti se non si chiarisce - a distanza ormai di anni dalle varie riforme del servizio sanitario - quale è il ruolo delle aziende rispetto alla centralità regionale manca qualsiasi punto di riferimento per decisioni qualitative e quantitative, e per l'organizzazione della rete nel suo insieme. Su questo punto sarebbe urgente un chiarimento, anche perché si intravvedono qui e là movimenti non sempre razionali.

Un secondo aspetto importante è correlato all'organizzazione della rete ospedaliera. La ormai vecchia indicazione sulla riduzione del numero degli ospedali ha trovato realizzazione solo in alcune regioni e spesso per dimensioni limitate. L'opposizione dei territori, appoggiati dalla miopia di una certa politica, ha bloccato i tentativi di razionalizzazione. Ma la causa di queste difficoltà non è attribuibile solo alla pressione degli interessi; il vero problema è la mancanza di serie e motivate proposte di servizi alternativi. Chiudere un ospedale pone tra i tanti due problemi centrali: l'allontanamento del pronto soccorso e quello dei reparti che offrono servizi per le persone affette da malattie croniche, per le quali la distanza dall'ospedale può provocare qualche disagio. Nel primo caso è necessario spiegare senza reticenze che un pronto soccorso poco attrezzato è fonte continua di rischio per la salute dei cittadini (ma quanti hanno avuto il coraggio di parlare chiaro attorno a questo problema?) e che, invece, una rete efficiente di mezzi di soccorso, che fanno riferimento ad un centro dove sono collocate competenze adeguate, risponde molto meglio alle necessità dei cittadini bisognosi di cure urgenti, per problemi clinici rilevanti. Nel secondo caso, invece, le modalità di intervento sono più complesse; la risposta oggi più frequente, quella degli ospedali di comunità (o come altrimenti vengono definiti), non sempre è adeguata. Infatti non deve assolutamente essere di più basso livello rispetto a quella ospedaliera tradizionale. Perché ciò avvenga, senza ricostruire di fatto - anche se sotto diverso nome - quello che si intendeva abolire, i nuovi servizi devono essere fortemente integrati con quelli domiciliari, in modo che il carico delle cure sia suddiviso - in base alla condizione di malattia e non in base alla disponibilità - su tre livelli. Vi sono quindi i cittadini che possono essere trattati a casa, attraverso l'assistenza domiciliare integrata, che vede un ruolo primario del medico di medicina generale (ma quale è la reale diffusione nel territorio nazionale?), poi i cittadini il cui bisogno di cure non richiede particolari competenze diagnostiche, ma solo interventi più intensivi e controllati di quelli eseguibili a casa (ospedale di comunità) e infine i cittadini la cui condizione di salute è caratterizzata dalla riacutizzazione di malattie croniche, che richiede un intervento di staging diagnostico complesso e di impostazione delle terapie, che solo la qualificazione clinica dell'ospedale è in grado di offrire.

La tematica degli ospedali ha anche altri aspetti critici; si veda, ad esempio, le sperimentazioni messe in atto da alcune regioni per un'apertura dei servizi diagnostici e degli ambulatori nelle ore festive e notturne, al fine di ridurre le liste d'attesa. Il rischio di porre nuove problematiche organizzative, prima di aver affrontato e risolto quelle tradizionali, è molto alto. Infatti i costi di queste decisioni sono elevati, a meno che il tutto sia fatto riducendo le prestazioni offerte nei normali periodi di apertura; inoltre è necessario garantire che la qualità degli operatori sanitari sia adeguata in ogni momento. Ancora una volta ci troviamo a chiedere con insistenza che vengano condotte sperimentazioni serie su strumenti, metodi e risultati: sembra invece prevalere ancora una volta la fretta degli annunci! Poi il tutto viene dimenticato... Ad esempio, chi è il cittadino tipo che si reca per un esame radiologico non di urgenza la sera del sabato? E, soprattutto, quanti sono? Quale sarà il rapporto di questi servizi con il pronto soccorso? Vi sarà realmente una significativa riduzione delle liste d'attesa? Il cittadino dovrà pagare un extra ticket o, al contrario, nelle ore disagiate pagherà di meno?

La medicina di gruppo rappresenta un altro punto centrale nelle discussioni oggi prevalenti. Fino ad ora è sembrata soprattutto un'affermazione di principio, ma non sono state condotte analisi precise sui finanziamenti necessari per organizzare e far funzionare le nuove aggregazioni, sugli aspetti normativi (i medici di guardia medica condivideranno i mutuati?), su quelli psicologici (è stato mai dimostrato che il cittadino preferisca rivolgersi ad un medico che non conosce, che lavora all'interno di un gruppo a 10 km da casa, piuttosto che al pronto soccorso di un ospedale le cui competenze sono ben note?). Si annunciano innovazioni delle quali non si conoscono né i contenuti né i possibili risultati...

L'insieme delle osservazioni soprariportate configura un quadro d'assieme che esprime una forte esigenza di governo, frutto di cultura, di confronto con i paesi esteri e delle loro esperienze, di sperimentazioni accurate e metodologicamente corrette, di sensibilità politica. Chi scrive ha più volte espresso in passato l'esigenza che i sistemi sanitari possano muoversi con autonomia, autoregolandosi nel tempo rispetto agli eventi. Valorizzare alcuni punti fermi, alcuni dei quali sono quelli indicati, non vuol dire imporre un ordine miope e gretto, comprimendo l'originalità delle espressioni territoriali, ma offrire indicazioni attorno alle quali le autonomie possono esprimere il massimo della propria capacità, raggiungendo risultati altamente significativi per la comunità.

Inizio pagina